Il Parlare ed il saper parlare.
Riflessioni sulla elocutio, il loquente e l’eloquente

Demetrio Falereo
Demetrio ha smesso di rivoltarsi nella tomba. Adesso si è arreso ai nostri tempi. Tempi bui e di decadenza, quasi senza speranza, per il saper parlare e l'arte della comprensione. Mai come di questi tempi sarebbe bene ed utile tornare a studiare lo stile di comunicare. Necessita quindi fare il punto della situazione sullo stato patologico in cui versa la “elocutio” ovvero il saper parlare : l'ars oratoria. Siete al dunque pronti?. Allora partiamo per questa che vuole essere una piacevole digressione nel mondo della scienza dell'uso virtuoso del parlare. Avventuriamoci. Certo le parole belle fanno gradevole e leggiadro il ragionamento; ma una figura non è mai solo un ornamento e spesso comporta un mutamento di prospettiva: la metafora non è mai solo una stella che brilla nel firmamento del discorso, ma è altresì una stella che orienta, una stella cometa. Per questo è sempre stata problematica la distinzione tra figure di parola (come la metafora) e figure di pensiero (come l'allusione), distinzione disperante per gli stessi retori che ne fecero uso. La presupposizione naturale è che ci sia una separazione tra cose (res) il loro rivestimento verbale (verba), tra idee e il loro involucro. Il significato non è separabile dalla espressione. Per questo Quintiliano ed Erasmo esigevano dall'oratore la duplice copia verborum ac rerum la versatilità concettuale e discorsiva. Lo stile retorico detta le regole del dire ma anche e soprattutto fa la differenza tra il bel dire e il del dire bene, ovvero l'efficacia del discorso che è quello che piu' ci affligge in questi tempi pieni di discorsi a vanvera.I modi di affermare un concetto possono essere svariati, dipende dal frame (oggi diremmo usando il linguaggio mutuato del common low) ovvero dal punto di vista che vuole prospettare chi vuole pronunciarsi e dalla partecipazione che si vuole ottenere dall'interlocutore nel completamento del concetto. Un esempio può essere il modo sentenzioso- affermativo di Aristippo: «Gli uomini lasciano in eredità le ricchezze ma non la scienza di farne buon uso» messo a confronto con il tono sentenzioso-precettistico, al modo di Senofonte: «Non basta lasciare le ricchezze ai figli, ma bisogna anche lasciare loro la scienza di usarle»; o ancora, il modo interrogativo-ironico, al modo di Socrate: «O figlio, quanti beni ti lascio tuo padre? Tanti, vero? Ma dimmi; ti lasciò anche la scienza di usarne bene?». Lo stile è quindi una questione linguistica, retorica ma anche critico-epistemologica. Ad esempio, la scelta e la disposizione delle parole non hanno mero interesse stilistico. Anzi se si trascura la funzione argomentativa delle figure, il loro studio apparirà ben presto come un vano passatempo, come la ricerca di nomi strani per giri di frase ricercati. Lo segnala Chaà¯m Perelman nel suo Trattato dell'argomentazione ; ma lo sapeva già Confucio quando invitava a «migliorare l'uso del linguaggio e a non tollerare nessun arbitrio nell'uso delle parole» (Confucio, Dialoghi). La semplice combinazione delle parole cambia il significato del discorso che si va a costituire. La forma stilistica può diventare contenuto assertivo e argomentativo. L'ordine di esposizione è decisivo, come testimonia il confronto di due interrogativi sui quali ricorre la storiella ( ben conosciuta da chi proviene da studi giuridici) del francescano e del gesuita che, avendo entrambi l'abitudine di fumare contemporaneamente al pregare, posero, entrambi e separatamente, l'interrogativo che segue al proprio superiore: il francescano chiese “si può fumare mentre si prega?” . Ovviamente la risposta secca e sconcertata del superiore fu :<< NO! Non si può! >>; mentre il gesuita chiedeva al suo superiore << se nei momenti di sconforto mi lascio andare a fumare posso pregare? >> Ovvero si può pregare mentre si fuma. Ovviamente la risposta, per come posta , meritò dal superiore un << SI! . Certo che si può!>>. E' quindi di tutta evidenza che i medesimi termini diversamente ricombinati producono reazioni e risposte opposte: il buon padre confessore d'una volta ci spiegherebbe che non si può fumare mentre si prega perché è disdicevole, ma che si può invece pregare mentre si fuma perché ogni nostra azione quotidiana può diventare un atto d'orazione e di lode al Signore. Così una cosa è proporre di «andare concordemente alle elezioni», altra cosa di «andare alle elezioni concordemente». àˆ poi una deformazione scientistica il ritenere che l'ultima teoria e l'ultima parola siano quelle buone. Teoria risultata dalla percezione temporale dell'attenzione della platea rispetto al discorso dell'oratore che i ricercatori avrebbero fissato nei primi 10 minuti del discorso. Sicuramente tale dato è il risultato della mediocrità , diffusa, dei discorsi per lo piu' pronunciati dagli oratori , un po' meno di quei ( almeno del passato l'ignorante o il soggetto impreparato aveva il pudore e l'umiltà di tacere) moltissimo di questi tempi (parlare a vanvera e senza preparazione è divenuto lo sport internazionale soprattutto di coloro i quali hanno piu' responsabilità del loro dire poiché si rivolgono alle masse). Talché anche Demetrio stesso , considerato a titolo padre della retorica, ne era consapevole: «Tutti ci ricordiamo specialmente delle cose dette per prime e per ultime e da queste siamo maggiormente mossi, mentre quelle che stanno in mezzo è come se fossero nascoste o cancellate».La retorica, invece, vuole insegnare come le prime parole contano tanto-quanto le ultime. L'importante che il discorso sia coerente e armonico in tutte le sue parti e forgiato all'arte dell'uso della parola e della potenza persuasiva della frase quale insieme armonico e sensato delle parole.Oggidì non ci sono più gli oratori e i retori felici di una volta, quelli che parlavano con stile e scrivevano sullo stile. Oggi si privilegiano i contenuti, si guarda ai problemi reali, si punta alla (brutale) sostanza. E si commettono sempre piu' errori comunicativi e interpretativi. In atto lo stile elocutivo è considerato come un inutile orpello e sovrappiù, una ridondanza, se non un'insidia. Ma invero è l'arte del sapere parlare. Si tende a supporre che la forma sia separabile dal contenuto e che la forma si sovrapponga all'argomento come un accessorio decorativo. Niente di piu' sbagliato. Sapere parlare e soprattutto farsi comprendere correttamente , cosi' come riuscire con le semplici parole ad ottenere cio' che viceversa sarebbe impossibile è sapienza, è arte. Discorrere è un'arte. Arte che presuppone studio e preparazione e con certo improvvisazione. Infatti lo stile oratorio (ovvero l'ars oratoria) che è classicamente concepito in termini di rivestimento, abbigliamento, decorazione del concetto in verità è sostanza del discorso e della pratica della proficua e corretta comunicazione. Sempre piu', in questi tempi bui per l'arte della dialettica, la moltitudine scambia la parlantina con il saper parlare. I giovani ritornano ai glifi per comprendersi piu' speditamente tra loro riducendo le parole espressione di un concetto ad un accozzaglia di lettere alfabetiche ovvero ad un mero simbolo grafico ( es: tvb, ïŠ, ï‹ ). Tutti pensano che la verità non ha bisogno di orpelli e la si vorrebbe preferibilmente “nuda”. Anche se un abitino non guasterebbe, direbbe Leo Longanesi. Le parole belle e le parole giuste vanno a braccetto. Non c'è infatti cosa così banale o così importante che non importi come sia detta.Lo stile non è un soprappiù, è il terzo passo dei cinque canonici del processo retorico, cioè quella parte che si occupa dell'espressione: dopo avere trovato gli argomenti e dopo aver deciso in quale ordine disporli, si doveva trovare il mezzo espressivo adeguato all'argomento e alla circostanze. Era quella che i latini chiamavano elocutio e i greci léxis: «quella veste variegata della quale, a quanto si dice, si serviva Demetrio Falereo». Della medesima natura è l'altra tipica metafora conviviale, usata dal citato Demetrio, per cui lo stile è concepito come mero allestimento: «Nei banchetti pochi piatti ben arrangiati possono sembrare molti. Così vale anche nei discorsi». Queste connotazioni inducono a ritenere che lo stile sia solo forma e non sostanza.Lo stile è altresì quella sezione della retorica a cui nel corso del tempo essa si è deplorabilmente “ristretta”, fino a diventare un puro repertorio di aride o esanimi figure. Di qui la decadenza della nobile, antica, bella arte della retorica, come lamentava Gérard Genette. Le lezioni piu' belle , per gli studenti di diritto erano quelle sull'ars oratoria, oggi relegate al ruolo di paturnia personale e da naftalina. Ma nei tempi in cui questa disciplina rifulgeva, il problema dello stile era centrale, così centrale che, appunto, quando nel corso del tempo l'albero retorico perse le altre quattro fronde originarie (inventio, dispositio, actio, memoria), rimase pura elocutio e per lungo tempo si ridusse ad essa. Anche Demetrio, nell'opera qui in esame, uno dei pochi testi retorici di età ellenistica pervenuteci integri, affronta il problema dello stile e solo dello stile.A motivo di questa limitazione, di lui già Quintiliano afferma: «ammetto che Demetrio Falereo, anche se si dice che con lui ebbe inizio il declino dell'oratoria, ebbe molto talento e facilità di parola, e che sia degno di essere ricordato se non altro per il fatto che fu quasi l'ultimo degli oratori Attici a poter essere chiamato Oratore; però Cicerone lo preferisce a tutti gli oratori nello stile medio » Quintiliano rilancia il giudizio di Cicerone, che qualificava Demetrio «il più colto¦, ma istruito negli esercizi della palestra più che nel maneggio delle armi. Sicché piaceva agli Ateniesi più che non li infiammasse: era uscito infatti al sole e alla polvere non come da una tenda militare, ma dall'ombra della scuola del dottissimo Teofrasto. Questi per primo abbassò il tono dell'eloquenza e lo rese morbido e dolce, e preferì apparire gradevole come effettivamente riuscì, piuttosto che efficace, ma di tale grazia fu da incantare piuttosto che da soggiogare gli animi: sicché lasciava nell'animo degli ascoltatori il ricordo della sua eleganza e non, come di Pericle scrisse Eupoli, pungiglioni insieme con il diletto». Benché lo stesso Demetrio sia consapevole e dichiari espressamente che «l'armonia, la dolcezza, l'ornamento allettano. Ma è la robustezza che persuade. àˆ la veemenza che rapisce ». Evidentemente una cosa è la teoria professata, altra cosa è la pratica. Ed è per questo che noi, sommessamente , aggiungiamo che è poi il carisma il quid in piu' ovvero è il carisma a fare di un consapevole retore (alias relatore) il perfetto oratore, l'infiammatore delle platee. Di questi tempi abbiamo facilità a individuare il soggetto carismatico e molto meno frequenza con l'oratore anche quello con stile intermedio, come lo definirebbe l'esperto Demetrio.Di Demetrio, Cicerone parla anche in Orator ad M. Brutum (92) dove lo presenta come esponente di quello stile intermedio tra il tenue e l'elevato, «in cui vi è poca forza ma moltissima grazia. Infatti è più nutrito di quello semplice, più modesto però di quello che possiede ricchezza ed eleganza. A questo genere convengono tutti gli ornamenti della parola e in questo stile oratorio vi è moltissima grazia. In esso molti fiorirono presso i Greci, ma a mio giudizio su tutti si distinse Demetrio Falereo la cui parola mentre scorre calma e tranquilla così anche riceve splendore da metafore e metonimie quasi fossero punti luminosi» (per coloro i quali vogliono approfondire: Giannicola Barone, Mondadori 1981). Lo stile conta, perfino in filosofia. Abbiamo lo stile cartesiano e quello nietzscheano, quello geometrico, inferenziale, concatenato e quello aforistico, evocativo, slegato, asindetico. C'è chi privilegia la costruzione teorica, come Aristotele ed Hegel; c'è chi preferisce l'argomentazione e il dibattito, come Nietzsche e Wittgenstein. C'è chi con un movimento dal basso all'alto va dai fatti ai principi, chi invece con movimento inverso offre una motivazione teorica per giustificare la scelta di certi fatti. Si chiamano tutti filosofi e definiamo comunque sempre filosofia quello che ciascuno di loro fa. Sono tutti discorsi quelli che uno costruisce combinando le parole, ma l'effetto che sortiscono tali discorsi può essere nullo o miracoloso a seconda dello “stile” scelto. Lo stile adottato fa quindi la differenza nell'arte della persuasione e questa è pratica che gli avvocati (ahimè! Pochi tra i piu' anziani e solo i virtuosi studiosi tra i giovani) conoscono bene . Diremmo che i teorici dello stile, fanatici delle lezioni sulla chiarezza e sulla grazia, sull'eloquenza e sulla poesia, anticipano i teorici degli atti linguistici, secondo cui noi possiamo “fare cose con parole”. Quando si dice cha la parola è un'arma! Un uomo puoi ucciderlo con un coltello o con una piuma da scrivano, la prima cosa la possono fare tutti, la seconda è solo un'arte rara e rimessa a pochi istruiti). I teorici degli atti linguistici si occupano non solo delle qualità del discorso, ma soprattutto del suo potere. Ci sono atti magici e parole magiche, incantesimi compiuti con il talismano “ incantamenti “fatti” “ e incantesimi prodotti con le parole “ incantamenti “detti”. I primi sfruttano l'energia, l'azione naturale degli elementi, i secondi sfruttano l'energia, l'azione naturale delle parole, le virtutes elocutionis. Per questo Demetrio s'interessa dell'efficacia oltre che della bellezza del discorso e dedica un capitolo al «persuadibile e come si ottenga»: «in questo consiste il persuadibile: non narrare tutte le cose a lungo troppo esquisitamente, ma lasciarne alcune all'uditore che da sé le comprenda e sopra vi discorra¦ non solamente tuo uditore, ma diventa ancor tuo testimone e t'acquista maggior benevolenza perché gli par d'esser divenuto intelligente per opera tua che gli ha porta occasione di intendere». Volendo fornire dei dati piu' tecnici si riferirà come secondo Demetrio si distinguono tre generi di stile nell'ars oratoria : stile alto, medio, basso. Ma poiché lo stile si esercita sullo stile stesso, altre tipologie classiche propongono le varianti, sempre tripartite: sublime (adatto per parlare di re) medio (per persone normali), tenue (per persone umili). O duro, dolce, aspro. O attico, asiatico, rodio. O tragico, elegiaco, comico. Demetrio ne aggiunge un quarto tipo, delineando la seguente tassonomia stilistica: 1. umile (o semplice, piano, basso); 2. grandioso (altrimenti detto affettato, elevato, magnifico, oratorio); 3. ornato (o elegante, levigato) 4. potente (altrimenti detto veemente, energico, terribile, fiero, forte) a cui si contrappongono le forme “viziose” da evitare: il freddo, l'arido (secco), il posticcio (artefatto) e lo sgarbato (sgradevole, scostante). Ogni genere di stile viene dal Demetrio analizzato ed esemplificato nelle sue specifiche e appropriate figure. Come puo' vedersi Demetrio è assolutamente attuale per chi vuole imparare a saper parlare e ad usare le parole per l'opera di persuasione discorsiva. Oltre a quanti e quali siano gli stili, Demetrio tratta di “come e quando le figure facciano magnifica locuzione”, dell'“evidenza”, “di come debba rigirarsi il periodo”, “da quali figure e come nasca la gravità dello stile”. Interessante è l'analisi dello stile epistolare, “dello stile da usarsi nello scriver lettere”, in cui, a detta di Demetrio, è da osservare il proverbio “chiamare pane il pane” e da evitare che un'eccessiva lunghezza e gonfiaggine trasformino la lettera in una sorta di trattato. Demetrio discorre anche di come dire senza dire esplicitamente, dell'entimema, della reticenza e della brevità , di eufemismo, reso dal traduttore cinque-secentesco con il bel termine di “benedicenza”. Dell'iperbole offre il seguente poco olezzante esempio: «Non è morto Alessando, o Ateniesi. Ché se fosse morto il mondo sarebbe ammorbato da fetore del suo cadavere».
Tratta anche di un aspetto intrigante, non sempre preso in esame nei trattati di stilistica, ossia delle «piacevolezze comiche», quello che noi oggi chiameremmo humor, distinguendole nettamente dal ridicolo. Lo humor è una risorsa efficacissima, una “figura potente”, come lo sono “ la ripetizione, l'anafora, il climax”. Quest'ultimo è un procedimento retorico che Demetrio paragona ad «un uomo che si arrampica sempre più in alto».
In definitiva, lo stile migliore, ossia il particolare modo di presentare idee e sentimenti in un discorso, è non tanto quello dettato da regole, conforme a modelli, ossequioso di canoni definiti appunto stilistici, che “ si badi bene “ bisogna conoscere come la nerbatura del discorso, bensì quello ispirato a un modo d'essere. Proprio com'è lo humor, lo stile è un modo di pensare e di vedere le cose e il moderno “frame” , ovvero il punto di vista soggettivo e individuale. Lo stile migliore è dato da quella che si chiama personalità del discorso. Ovvero fare divenire il loquente (il soggetto che discorre) in eloquente. Non è garantito che lo stile si possa insegnare qui gioca il suo ruolo la naturale predisposizione e le doti personali (quali l'intuizione, la sensibilità , l'apertura mentale, la facilità di espressione, etc.) di colui il quale vuole imparare l'ars oratoria ovvero di colui che si accinge a divenire il loquente . àˆ sicuramente difficile educare ad esprimersi con un «favellar magnifico»; ovvero trasformare un loquente in un eloquente oratore. Ma “il dotto, antico e brillante retore di nome Demetrio” ci puo' insegnare ad evitare le parole “posticce ed aride”, il “favellar sgarbato e freddo” ,“stili viziosi, estremi, errori opposti”, “i mancamenti” da evitare.
Ora siamo certi che, dopo questo piccolo contributo cognitivo, la maggior parte di “coloro” che del discorrere ne hanno fatto uno strumento di professione ed un “mestiere” e in particolare i politici, con il loro fare o subire “meline”, potranno ben comprendere perché, malgrado i loro sforzi comunicativi, i loro discorsi elettorali, gli ampi spazi mediatici loro concessi, restano incomprensibili ai loro stessi elettori; infatti è diventato comune il sentire, dell'elettore che, appena distoltosi dal discorso, ovvero allontanatosi dal comizio, interloquendo con il suo prossimo, affermi: << beeellooo¦. bellissimo discorso; è stato bravo, bravissimo; ¦ma tu alla fine hai capito cosa voleva dire? >> e l'altro gli risponda :<< nieeenteee¦. non ti prendere pensiero, vuole che lo votiamo, poi si vede >>. Mutatis mutandi: l'arte del rendersi incomprensibili è segreto per il conseguimento e il mantenimento del potere. Smarrire e sconcertare l'auditorium per soggiogarlo e governarlo. Al dunque Il de profundis della polis, della civiltà e anche dello stile. Ritornare quindi a studiare lo stile del saper parlare e del saper comunicare non è anacronistico o stereotipo di vetustà e controcorrente ma, invero, è intuizione illuminante e, vorremmo aggiungere anche, determinante per riappropriarci della nostra condizione di liberi pensatori, per allenare lo spirito, l'acume e l'intuizione , per potere contribuire correttamente a determinare il proprio destino, per sapersi difendere ed attaccare con l'uso della parola, per decidere quando e come soccombere ovvero emergere, per non privarci di una risorsa di civiltà e di allenamento della mente e del cuore (vera sede questo della virtù del coraggio), per non rinunciare alle nostre capacità intellettive e alla loro virtuosa espressione. Meditate Gente ¦.meditate!