Meyer Lansky, capo assoluto dell’impero di La Habana

Alla fine del 1946, Batista, nella sua residenza di Daytona Beach, aveva avuto molte riunioni, tra i tanti, il Presidente Grau, vi si recava per discutere gli eventi cubani con la speranza di essere rieletto nella carica. Tra i personaggi della mafia, solo a Sante Trafficante e a Lansky era concesso di discutere con lui i rapporti tra mafia e politica. In particolare con Batista si discuteva la repressione contro i comunisti, gli intellettuali, i progressisti, il movimento operaio e campesino, per evitare l’unità delle forze patriottiche.

Dietro questi progetti vi era la mafia e gli apparati di intelligence Usa e, il metodo preferito, era l’eliminazione fisica degli elementi più importanti. Si voleva evitare l’insorgere di insurrezioni popolari nella stragrande maggioranza della società cubana. Uno dei motivi più importanti, era quello di spianare il terreno per il rientro di Batista a Cuba, che avvenne alla fine del 1949.

L’evento che accelerò gli accordi sotterranei tra i gruppi finanziari-mafia-servizi speciali nordamericani, tale da condurre al colpo di stato del 1952, fu lo scandalo prodotto negli Usa con la relazione della commissione Kefauver.

La commissione, aveva realizzato un’estesa investigazione sul crimine organizzato nelle principali città Usa ed era arrivata alla conclusione che le operazioni della mafia negli Usa confermavano una mostruosa cospirazione: i mafiosi avevano creato dei veri imperi, trasformando affari illeciti in attività legali.

Nel marzo 1951, la commissione presieduta dal senatore Kefauver, organizzò una serie di conferenze stampa in New York, utilizzando per la prima volta i mezzi televisivi, per far conoscere il crimine organizzato negli Usa. A seguito di quelle denunce, Joe Adamis, Frank Costello, don Vito Genovese, Meyer Lansky ed altri, videro i propri interessi in grave pericolo.

Senza dubbio, in questo periodo, invece, l’impero di La Habana era straordinariamente forte. Aveva iniziato ad operare in spazi sempre più importanti dell’economia cubana in collaborazione con gruppi finanziari e servizi speciali. Dopo lo scandalo, a seguito dei risultati della commissione Kefauver, i gruppi mafiosi di La Habana, erano quelli che godevano di maggior potere, grazie anche alle immunità di cui usufruivano. Era necessario incrementare e allo stesso tempo stabilizzare l’impero di La Habana per renderlo ancora più efficiente e tollerante in relazione alle prossime elezioni a Cuba, con un nuovo periodo che ebbe inizio nel 1952.

Nel 1951 le forze politiche a Cuba presentavano il seguente quadro:

— Una forza governativa (potere apparente), in uno sfrenato processo di corruzione con i tre fratelli Prio Socarrás, che cercava di dare continuità all’autenticismo (in alleanza con i partiti liberale, democratico e repubblicano).

— Una seconda forza era rappresentata dal Dr. Grau San Martín, che dall’opposizione aspirava ad avere ancora posizioni di potere.

— Una terza forza era rappresentata dal Partito ortodosso (il gruppo politico che provocò le elezioni del 1952). Un partito dal quale affioravano grandi contraddizioni.

— Una forza costituita dal vecchio partito marxista, perseguitato dalla violenza più feroce. A questa forza era collegato ciò che restava del movimento sindacale.

— Secondo gli specialisti americani, questa forza, come sinistra rivoluzionaria, non costituiva un problema nel presentare una resistenza organizzata a qualunque passo politico fosse perpetrato, incluso il colpo di stato.

— Il gruppo di Batista, con la sua antica cupola politica e militare. Ma Batista ripudiato dal popolo, non aveva per il momento alcuna possibilità di potere ufficiale.

Il dominio degli Usa a Cuba, era più che assoluto negli anni 1950-1952 e gli artefici del colpo di stato del 10 marzo 1952, furono proprio le forze del sistema imperialista: gruppi finanziari — mafia — servizi speciali nordamericani.

L’imperialismo nordamericano approfittò del caos che vigeva sull’isola: corruzione, persecuzione della sinistra rivoluzionaria, repressione del movimento sindacale, l’instaurazione del gangsterismo e la volontà di fratelli Prio di continuare quel disordine economico, morale e politico. Altro motivo che determinò il golpe, fu la profonda crisi politico-morale che sopravvenne nella società nordamericana tra il 1950 e il 1952, quando le indagini della commissione Kefauver, rivelarono l’esistenza di uno straordinario mondo delinquenziale che manovrava immense fortune ed un grande potere esteso a tutte le sfere della società statunitense.

Tra le possibili soluzioni, nella nomina del nuovo Presidente cubano, Batista, risultò il più adatto. Aveva dimostrato una straordinaria fedeltà ai gruppi dominanti, alle famiglie mafiose e ai servizi speciali Usa. Era la persona più disponibile in quel momento, ove si decideva l’esistenza stessa dell’impero di La Habana. Senza dubbio per Washington risultava scabroso giustificare una simile operazione nel riproporre di nuovo al potere Batista, nel momento in cui negli stessi Usa era in atto una campagna pubblica contro il sistema politico e finanziario corrotto ed il potere mafioso.

I servizi speciali statunitensi, sin dal 1902 avevano iniziato una sistematica penetrazione nei punti nevralgici delle istituzioni cubane, quindi anche grazie al buon rapporto con la mafia ed il potere economico, non avevano problema a cambiare i capi di governo e nel trovare sempre le migliori giustificazioni, come motivazione.

L’operazione Batista, fu preceduta da un sistematico piano organizzativo:

      — Il clima di violenza fu potenziato per dimostrare che il paese era incontrollabile e solo una mano dura (la mano di Batista) poteva portare tranquillità alla nazione.

— Ricambio “pro forma” di alcuni personaggi politici, accusati di corruzione, sostituiti con altri, che comunque facevano parte della “cupola”.

— La creazione di un clima psicologico, per cui l’entrata di militari nella politica, era visto come l’unica soluzione per risolvere i gravi problemi del paese.

— La creazione di una forza politica patriottica e antirivoluzionaria per rendere ancora più stabile la presa di potere.

— La mafia con società di copertura della famiglia Barletta, fu posta al controllo dei grossi mezzi di comunicazione, come il periodico El Mundo, le strutture nazionali radio-televisive ed altro.

— Il rafforzamento dell’apparato di polizia.

— La firma di un patto militare (48 ore prima del golpe) con gli Usa che beneficiava Batista prima ancora della sua nomina a Presidente.

L’abile montaggio di una campagna denigratrice contro i fratelli Prio, accusati di corruzione e malgoverno e l’appoggio del mass-media americani a favore di Batista, considerato il salvatore di Cuba, diedero atto all’ennesima farsa perpetrata contro il popolo cubano. Tre o quattro militari morti “provocati ad arte”, fuori del palazzo presidenziale “costrinsero” i fratelli Prio in poche ore a partire (con immense ricchezze) per l’esilio.

Il 22 dicembre 1950 il Dr. Felipe Pazos (Presidente del Banco Nacional de Cuba) concesse a Amedeo Barletta Barletta la licenza n. 62 per convertire il Banco Nacional di La Habana in Banco Atlantico S.A. Il Banco Atlantico, iniziò la sua attività con il seguente esecutivo: Presidente don Amedeo Barletta Barletta, Vicepresidente Amedeo Barletta Junior, Segretario Generale il Dr. Luis J. Batifoll, Agente Generale il Dr. Leonardo Masoni. Dagli inizi, le operazioni del Banco Atlantico furono contestate dai funzionari del Banco Nacional de Cuba ma, le manipolazioni in quello stato delinquenziale furono regolate in modo tale che in realtà, niente del Banco Atlantico fu mai contestato né durante il mandato del Presidente Prio né durante la dittatura di Batista. Le caratteristiche del Banco Atlantico erano tali, da non escludere alcuna operazione finanziaria.

Quando Batista andò al potere, creò un gruppo di istituzioni di straordinaria capacità, per favorire i piani della mafia nordamericana a Cuba. Viste le nuove e promettenti prospettive, le famiglie mafiose stabilitosi a La Habana, iniziarono un processo di riorganizzazione, tutto diretto e organizzato per perfezionare l’operatività negli affari con esperienza, prestigio e professionalità. Batista diede alla mafia la possibilità di trasformare immense fortune illecite in affari leciti e regolari, attraverso grandi manovre finanziarie.

L’impero di La Habana, funzionava come se in realtà si trattasse di una gigantesca corporazione, con molteplici dipartimenti specializzati, che differivano molto dai tradizionali metodi che la mafia siciliana aveva impostato dagli inizi in America.

Per le operazioni illecite si utilizzavano metodi legali, secondo i moderni dettami del capitalismo, attraverso leggi e coperture finanziarie.

Gli interessi, avevano adesso una sfera di influenza in tutto il Centroamerica, parte del Sudamerica e negli stessi Usa. Tali interessi potevano raggrupparsi nelle seguenti direzioni:

      — Promozione del turismo internazionale verso gli hotel-casinò, centri di ricreazione, grandi e piccoli cabaret, club e locali notturni.

— I canali di traffico di droga: eroina verso gli Usa e cocaina per il consumo a Cuba.

— Gioco d’azzardo e scommesse, come quelle che si realizzavano all’ippodromo.

— Traffico e contrabbando di pietre preziose.

— La prostituzione specializzata: dagli alberghi di lusso ai locali di infimo ordine, con donne che provenivano da tutta l’area dei Caraibi e dagli stessi Usa. Si calcola che nella sola La Habana vi fossero 100.000 prostitute.

— L’organizzazione del contrabbando: automobili di lusso, oro, apparecchiature elettroniche, con l’utilizzo di zone franche, aeroporti, compagnie aeree e navali.

— Lo sviluppo e il controllo di affari legali, a mezzo di compagnie di import-export, centri commerciali, agenzie di distribuzione, compagnie aeree, laboratori farmaceutici, agenzie di sicurezza, uso e controllo di reti bancarie, società di trasporto, zuccherifici. In questa direzione operavano tutti i tipi di “compagnie”.

— I traffici con il centro finanziario internazionale radicato a La Habana, per la legalizzazione di immense fortune che portava grandi benefici ai gruppi finanziari che controllavano in modo tradizionale tutta l’economia cubana. Affinché l’impero di La Habana si reggesse era necessario che ogni sua componente ricevesse la sua parte di bottino.

— Il controllo e l’impiego di grandi mezzi di comunicazione dentro e fuori di Cuba, non solo come strategia pubblicitaria, ma anche come relazioni pubbliche e propaganda internazionale.

— Le relazioni politiche tra Cuba e Usa. Per la prima decade degli anni ’50, la tattica era quella di far apparire sempre di più Batista come “unico responsabile del potere apparente a Cuba”.

— Lo sviluppo dei servizi di intelligence: le relazioni ed i vincoli unite al braccio armato delle “famiglie” a La Habana.

— Una direzione centrale o generale per il controllo dell’impero: tale staff includeva lo stato maggiore della mafia nordamericana a Cuba, i suoi centri operativi, la sua struttura per il dominio interno.

Questo programma, coordinato in contemporanea all’insediamento di Batista alla presidenza, necessitava della realizzazione di nuove infrastrutture.

Agli inizi del 1950 a La Habana, oltre al meraviglioso Hotel Nacional, vi erano l’Hotel Sevilla Biltmore, l’Hotel Presidente, il Lincoln, l’Inglaterra, il Plaza ed altri, nei pressi del Parque Central e del Centro Habana. La principale capacità ricettiva era in edifici di 3, 4 piani con appartamenti nelle zone del Vedado e del Miramar, ville o piccoli motel dedicati al turismo internazionale. Con il riordinamento che propiziò il nuovo arrivo di Batista, iniziò la costruzione di grandi alberghi di lusso, soprattutto per ospitare il flusso turistico proveniente dagli Usa.

Nel 1952, funzionavano a La Habana un totale di 29 hotels con 3118 abitazioni, ma non tutti potevano ricevere un turismo di un certo livello. Iniziò allora la costruzione di nuovi hotels di prima categoria: il Vedado, il St. Johns, il Commodoro, il Colina, il Lido, il Rosita de Hornedo, il Carribean, il Siboney, L’Habana Deauville, il Capri, l’Habana Hilton, il Riviera ed altri.

Questi hotels elevarono la capacità ricettiva a 5438 abitazioni. Esistevano comunque altre installazioni controllate dalla mafia a Varadero, nella zona franca dell’Isla dei Pinos, nella regione montagnosa di Pinar del Río ed il moderno motel Jagua di Cienfuegos.

Nell’assumersi l’onere della costruzione di questi grandi hotels (con casinò, droga e sesso), la mafia si avvalse di compagnie di copertura, banche private e istituzioni create a questo scopo.

Alla fine degli anni ’50, Meyer Lansky, decise di trasferirsi di nuovo a La Habana. Era il posto più sicuro, da dove era possibile controllare alcune situazioni interne molto inquietanti. Era comunque il capo del grande impero di La Habana. Nella prima decade del ’50, la mafia ampliò considerevolmente le sue attività legali a Cuba e nell’estendere la vasta gamma di interessi, Lansky era il solo punto di riferimento. Non lo si vedeva tanto in giro, la sua presenza nella capitale cubana, era praticamente un mistero, tranne che nei circoli di potere, compresi quelli dell’opposizione, circoli militari, lobby industriali. Sin dagli anni ’30, aveva una lussuosa suite all’Hotel Nacional; tra il 1951 e il 1958, il Nacional continuò ad essere il luogo da lui preferito, anche se aveva case “sicure” fuori di La Habana.

Nei primi anni della dittatura di Batista, in particolare negli anni 1954-1955, tra i giornalisti incominciò a circolare il suo nome e si diceva che era un importante uomo d’affari nordamericano a La Habana e per un certo tempo fu considerato dagli stessi giornalisti, una specie di benefattore. Non era un uomo dedito all’alcool né alla bella vita, partecipava alle riunioni solo se erano inevitabili e quando doveva bere, preferiva un bicchiere di latte.

L’impero di La Habana era enorme, spaziava in tutta l’area dei Caraibi e spesso con interessi negli stessi Usa, che creavano non pochi problemi alle altre famiglie mafiose.

Lansky era persuaso che la guerra con le famiglie di New York era inevitabile e iniziò a prendere una serie di iniziative. La prima, alla fine del 1956 fu la simulazione di un suo ritiro, creando a La Habana un sindacato mafioso diretto da Sante Trafficante Junior. A questo scopo, agli inizi del 1957, Lansky iniziò una serie di alleanze con famiglie di Las Vegas, Chicago e della California, realizzando accordi con importanti personaggi della politica e della finanza, oltre a rafforzare i vecchi vincoli con i servizi diintelligence, per rendere gli affari a Cuba ancora più solidi.

Da Chicago entrarono ad operare con i loro interessi rappresentanti di Sam Giancana; si trasferirono a La Habana i fratelli Joe e Charlie Sileci, un numeroso distaccamento di gangsters italo-americani; importanti figure del mondo cinematografico vincolati a queste famiglie: Tony Martin, Donald O’Connor, Frank Sinatra e George Raft; un selezionato gruppo di uomini d’affari nordamerinano, con relazioni e grande influenza politica con la Casa Bianca. Allo stesso tempo si installò nella capitale cubana, Nick di Costanzo, uomo straordinariamente temuto, che assunse il controllo di tutti i casinò di La Habana.

Durante il 1956 e per quasi tutto il 1957 i gruppi di New York e i suoi affiliati, Genovese, Anastasia, Profaci, Gambino e altri, continuavano ad insistere nell’installare le loro attività a La Habana, poiché negli Usa erano in atto numerosi processi, denunce e indagini contro gli affari tra politica e crimine organizzato, mentre il governo cubano continuava ad offrire assoluta impunità ed a garantire la legalizzazione di grandi affari illeciti.

Per questo Lansky, aveva tessuto i fili con i gruppi politici di Washington e i servizi speciali; non solo per resistere agli attacchi dei gruppi di New York ma, per poter lanciare una offensiva in grande scala al resto della mafia statunitense.

Lansky, apparentemente continuava a far credere che la sua posizione era quella di ritirarsi dagli affari, ma allo stesso tempo stringeva rapporti con i politici Usa ed i servizi speciali per poter lanciare un’offensiva in grande scala alle famiglie mafiose di New York.

Ebbe inizio una guerra molto violenta e rapida, che vide contrapposte le famiglie di La Habana e quelle di New York. La guerra non si fermò sull’isola ma, si estese anche al territorio nordamericano . La disputa provocò negli Usa decine di cadaveri nelle principali città. Morto Anastasia, morto Scalise, amico di Luciano ed in seguito all’attentato cui fu oggetto Frank Costello, le famiglie di New York si videro costrette a convocare la pace di Apalachín.

A La Habana, intanto, l’intelligence americana cercava di rendere stabile il governo Batista, posto in crisi dalle operazioni militari dell’Esercito ribelle.

La riunione che la mafia nordamericana convocò per il 14 novembre 1957, segnò in modo cruciale la sconfitta dei nemici di Meyer Lansky. All’incontro di Apalachín, ove erano presenti tutti i gruppi che pretendevano l’entrata in Cuba, Luciano e Adonis non poterono partecipare, perché in Italia, Frank Costello disse che non aveva nulla da dire dopo l’attentato cui era stato fatto oggetto, Albert Anastasia e Scalise erano morti e Lansky, che sin dalla metà del 1956 aveva annunciato il desiderio (apparente) di ritirarsi, si teneva al margine del dibattito. La Habana era vitale per le famiglie mafiose nordamericane, rappresentava in quel periodo uno sbocco importantissimo dei loro affari. Negli Usa, prima la commissione Kefauver (1950-1952), poi la commissione Daniels (1955), avevano messo in difficoltà le principali fonti di guadagno della mafia. A La Habana invece, l’imperialismo nordamericano aveva creato il paradiso dell’impunità, reprimendo ovviamente tutti gli interessi popolari. Due erano i personaggi chiave della riunione di Apalachín: Santo Trafficante Junior, come massimo esponente (apparente) dei gruppi che operavano a La Habana e Joe Sileci in rappresentanza delle nuove alleanze. La riunione fu “consegnata” dalle famiglie di La Habana alla polizia di New York e tutti i mafiosi (in gran parte delle famiglie di New York) furono arrestati, interrogati e condannati. Le alleanze realizzate da Lansky condussero al processo, alla condanna e alla detenzione di don Vito Genovese.

Come atto conclusivo di questa guerra intermafiosa, i gruppi di La Habana, presero sotto il proprio controllo tutta la rete di traffico e distribuzione di droga delle famiglie rivali. Da ricordare che tutte le prove che portarono all’operazione di polizia e alla condanna dei gruppi mafiosi rivali nella riunione di Apalachín, furono fornite dai servizi segreti cubani, controllati da Lansky.

A Cuba tutto faceva capo a Lansky. Nell’isola esisteva lo stato maggiore della mafia nordamericana, integrato da Joe Stasi, mister Normain, Santo Trafficante junior. Da questa struttura, dipendevano tutte le famiglie di La Habana. L’accordo tra le famiglie di La Habana, non sempre fu armonioso; mentre la riconversione in attività legali di affari illeciti, portarono Barletta ad essere amico personale del Presidente, gli interessi del corso Amleto Battisti y Lora, che trattavano il settore “eroina”, non erano collegati con il dittatore, se non attraverso Lansky. Da aprile ad ottobre 1958, Lansky effettuò rapidi viaggi in molte zone dei Caraibi: Repubblica Dominicana, Martinica, Barbados, Porto Rico, Trinidad e Tobago, Jamaica e Bahamas, con lo scopo di ampliare gli affari vincolati al turismo internazionale.

Se questi eventi hanno spiegazione nei venti di rivolta che si susseguivano sull’isola, bisogna anche dire che fu uno degli ultimi ad abbandonare Cuba, il secondo o il terzo giorno di gennaio 1959. Lansky si trattenne a La Habana sia per garantirsi che Batista resisteva alla rivoluzione in atto, che in attesa di disperate manovre politiche che Washington stava effettuando. Lansky ritornò a Cuba per pochi giorni agli inizi del marzo 1959, alloggiando sempre all’Hotel Nacional, nella suite da lui preferita. Dichiarò che per sua disgrazia, si conformava una rivoluzione i cui propositi erano quelli di togliere ai ricchi per dare ai poveri e, pertanto nulla poteva avere più a che fare con quell’isola.


La fine dell’impero di La Habana

Nel marzo 1958, mentre l’esercito batistiano organizzava la grande offensiva contro la guerriglia di Fidel Castro, la mafia nordamericana, preparava la sua grande offensiva; il progetto era quello di realizzare un complesso alberghiero, conosciuto con il nome “Hotel Monte Carlo de La Habana” (attuale Marina Heminguay), nella zona di Jaimanitas, ad ovest della capitale cubana e a 25 minuti dal Capitolio Nacional.

Il complesso alberghiero era concepito per 656 abitazioni, casinò per turismo milionario, cabaret, canali interni attrezzati per yatch di lusso, campi da golf ed altro, per un investimento totale da 20 milioni di dollari. La meraviglia di quel progetto, era la lista di personalità vincolate a quella operazione, tra i quali: Mr. William Miller, Presidente (Miller era conosciuto a livello internazionale per essere il proprietario del ristorante più famoso del mondo, il “Bill Miller Riviera” di New York), Frank Sinatra, Presidente della giunta direttiva (Sinatra, tra l’altro, era un affermato produttore di programmi televisivi negli Usa, ed era intenzionato a trasmettere dal nuovo complesso alberghiero una serie di programmi settimanali verso gli Usa), Mr. Walter Kirschner, Direttore Generale (vissuto alla Casa Bianca per 12 anni come consigliere del Presidente Roosevelt).

Tali operazioni, godevano della copertura di Lansky.

Queste realizzazioni servivano anche per dare a Cuba una parvenza di stabilità e affidabilità verso l’opinione pubblica mondiale e quindi coprire la crisi in atto dovuta alle operazioni militari dell’Esercito ribelle nella Sierra Maestra.

Le preoccupazioni di Washington per gli avvenimenti a Cuba, erano notevoli. Nel settembre 1958, fece l’ultimo viaggio a La Habana l’ispettore generale della Cia, Lyman Kirkpatrick, che si riunì con funzionari della Cia a La Habana, rappresentanti dell’Fbi, funzionari, agenti segreti, finanzieri, direttori di imprese Usa, funzionari dell’Ambasciata Usa. La conclusione a cui arrivò, era che Batista aveva perso il controllo del paese e che solo un miracolo poteva fermare Fidel ed il suo esercito ribelle.

Nei primi giorni di novembre 1958, si intensificarono i combattimenti e le truppe di Batista subirono continue sconfitte. In questa situazione, la Cia, pensò per la prima volta che bisognava distaccarsi da Batista che, cercava di resistere, spinto dalle famiglie mafiose a tener testa ai piani del governo Usa, per tener inalterato il “vecchio schema”. La ragione di questi “consigli” a Batista, risiedeva nella preoccupazione delle famiglie mafiose di La Habana di perdere il controllo “dell’impero” a favore delle famiglie di New York, con le quali avevano combattuto nel 1957.

Gli Usa offrirono a Batista (che aveva in banche estere un patrimonio di 300 milioni di dollari) di abbandonare il paese e rifugiarsi di nuovo a Daytona Beach in Florida, assieme alla sua famiglia, con l’accordo che né i suoi interessi né quelli dei suoi amici venivano toccati. Ma, contro tutti i pronostici, Batista, non accettò le proposte di Washington.

Le famiglie mafiose lo tenevano in pugno e propiziavano per un intervento militare Usa.

Il governo americano era in crisi: non poteva rimuovere Batista da Cuba, non poteva affrontare la mafia e soprattutto, non poteva impedire l’impetuosa avanzata dell’esercito ribelle di Fidel Castro.

Dal 17 dicembre 1958, Batista fu abbandonato definitivamente dagli Usa. Gli fu vietato di entrare negli Stati Uniti e a causa della sua disobbedienza, vennero meno tutte le offerte fatte giorni prima. Negli ultimi dieci o dodici giorni del 1958 i servizi segreti Usa, iniziarono una serie di operazioni per paralizzare, franare o neutralizzare l’incredibile avanzata dell’Esercito ribelle. Nessuna di queste operazioni, in gran parte diplomatiche, riuscì.

Il governo nordamericano fece un grandioso sforzo per mantenere al potere la sua macchina ma le operazioni militari di Fidel, del Che, di Camilo e di tanti altri rivoluzionari, misero in ginocchio lo schema del dominio imperialista.

Ai gruppi finanziari, mafia, servizi speciali Usa, non restava altro che recuperare ciò che potevano e abbandonare per sempre Cuba: l’impero di La Habana era perso per sempre.

Testo tratto da ENRIQUE CIRULES, El Imperio de La Habana (La Habana, Casa de las Américas, 1993)