Il mondo economico e finanziario s’interroga su quali siano le migliori strategie per conciliare sviluppo sostenibile, tecnologia rinnovabile ed investimenti verdi
I leader della business community globale si sono riuniti in Messico per confrontarsi e disegnare la transizione verso un’economia low carbon. Il mondo economico e finanziario, riunito a Città del Messico (4-5 ottobre ’10) per partecipare al B4E, Business for the Environment, s’interroga su quali siano le migliori strategie per conciliare sviluppo sostenibile, tecnologia rinnovabile ed investimenti verdi. I temi affrontati da questo importante Summit internazionale saranno dibattuti da un gran numero dì qualificati esperti, rappresentanti governativi, esponenti delle principali organizzazioni ambientaliste e manager di primarie aziende come Walmart, HP, Toyota, General Motors, British Telecom, Siemens, Tata and Sons, Hitachi. All’incontro sono state invitate anche personalità di spicco come Al Gore e Nicholas Stern, economista dì fama internazionale, già chief economist e senior vicepresident della Banca Mondiale, nonché autore di”Un piano per salvare la Terra” e del noto “Rapporto Stern”, la prima ampia indagine sugli effetti economici del cambiamento climatico.
Nel corso dei lavori, l’attività delle imprese sarà messa sotto esame per evidenziarne lo sforzo ambientalista e per fornire esempi di come la green economy stia prendendo sempre più piede e si stia consolidando in una nuova forma globale. Centrali solari, fattorie del vento, veicoli elettrici, smart grid catalizzano in modo crescente ed esponenziale l’interesse degli investitori privati a livello mondiale. Mostrando i cambiamenti del modo di operare dell’universo aziendale di fronte alle sfide poste dal global warming, il vertice di Città del Messico intende rappresentare un chiaro messaggio della business community in vista della XVI Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC COP16) che si terrà a Cancun il prossimo 29 novembre. Secondo Juan Rafael Elvira Quesada, ministro dell’Ambiente e delle risorse naturali del governo messicano, al pari di Unep, WWF, UN Global Compact e Global Initiatives organizzatore di B4E, le soluzioni innovative e le proposte elaborate dai leader delle società in questa occasione costituiranno senza dubbio un importante fattore di sollecitazione e un contributo positivo per il buon andamento dei negoziati internazionali sul clima. Orbene la svolta per il futuro la chiamano green economy e, negli ultimi tempi, la si pensa come futura panacea per molti dei mali che affliggono il pianeta. Secondo molti, infatti, la “rivoluzione verde” (incardinata sullo sviluppo del fotovoltaico e delle aziende energetiche ecosostenibili) combatterà l’inquinamento, ridurrà il consumo di risorse non rinnovabili, rallenterà i cambiamenti climatici e, come ciliegina sulla torta, risolleverà le sorti delle stanche economie di questi tempi, creando una moltitudine di nuovi posti di lavoro.
Eppure c’è qualcuno che ritiene questo scenario eccessivamente ottimistico, mettendo in dubbio la reale capacità della green economy di creare occupazione. Dunque, non tutto è oro quel che è verde. A sgonfiare il futuro della green economy sono due ricercatori italiani, Luciano Lavecchia e Carlo Stagnaro. Lo studio ”Are green jobs real jobs? The case of ltaly”, firmato dai due per conto dell’istituto Bruno Leoni, rilancia il dibattito sulle reali prospettive della riconversione ambientale dell’economia, centrando l’obiettivo sullo specifico caso italiano. In sintesi,la conclusione cui giunge la ricerca è che le fonti rinnovabili non sono uno strumento efficiente per la creazione di posti di lavoro e un posto di lavoro nell’ambito della green economy è necessario mediamente utilizzare un quantitativo di risorse che, se impiegato in altri settori, potrebbe generarne 4,8. Le cifre contenute nella ricerca sono molto rilevanti. Da qui al 2020, secondo le proiezioni elaborate da Lavecchia e Stagnaro, in base ai diversi scenari, lo sviluppo dei settori eolico e fotovoltaico potrebbe creare tra 55mila e 112mila posti di lavori. Per raggiungere il massimo possibile dovrebbero essere movimentati e impiegati finanziamenti pari a 6 miliardi di euro l’anno che, nell’eventualità fossero lasciati al mercato, genererebbero mediamente 4,8 posti di lavoro nell’economia in generale o 6,9 nell’industria.
Eppure c’è chi tifa green. La tesi sostenuta dalla ricerca dell’Istituto Bruno Leoni, tuttavia, non sfonda tra chi conduce analisi economiche. Cosi, per una voce volta a ridimensionare la green economy è possibile trovarne una che ne esalti le prospettive: quella dell’Osservatorio Energia Ires-Cgil. In un recente studio, l’osservatorio ha sostenuto che il conseguimento degli obiettivi Ue 2020 sull’energia significherebbe per l’Italia almeno 60mila posti di lavoro in più (250mila nel migliore dei casi).
Meditate gente .. Meditate.