Milano, 30 maggio 2013 – 7:43 – di Roberto Galullo  -

Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, è stato arrestato ieri a Palermo per evasione fiscale.

La notizia l’avrete letta, vista o ascoltata sui media italiani, così come avrete letto, visto o ascoltato le perplessità  del suo avvocato per un arresto che piomba mentre Massimo Ciancimino è imputato, con tanti nomi eccellenti, nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia in corso nel capoluogo siciliano.

In questo processo – molti lo dimenticano distratti forse dalle sue peripezie mediatiche “ Massimo Ciancimino è accusato del reato di associazione mafiosa (1°, 3°, 4°, 5° e 6° comma per i cultori della materia penale) per avere consapevolmente e fattivamente, fino a novembre 2002, contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa nostra, svolgendo costantemente il ruolo di latore di messaggi scritti e comunicazioni orali (con oggetto argomenti di primario rilievo per la stessa Cosa nostra) fra il padre Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano.

Una robetta da niente insomma, sempre secondo l’accusa, che “ proprio per la delicatezza “ per essere provata vede anche una lista di testimoni da interrogare, da parte della Procura di Palermo, lunga quanto un binario.

Per questo la pubblica accusa rappresentata da Nino Di Matteo, Vittorio TeresiFrancesco Del Bene e Roberto Tartaglia, ha chiamato a testimoniare mezza famiglia Ciancimino (su padre, fratello e marito).

I FRATELLI CIANCIMINO E LA MOGLIE

Il fratello Giovanni dovrà  infatti riferire su quanto appreso dal padre Vito nella seconda metà  del 1992 a proposito dell’incarico che lo stesso Vito “aveva ricevuto da persone altolocate” di creare un contatto con i vertici di Cosa nostra per arrivare alla cessazione delle stragi e dovrà  riferire quanto sa delle richieste del padre sulla revisione dei processi e modifica della normativa in tema di misure di prevenzione.

Il fratello Roberto dovrà  invece riferire quanto a sua conoscenza sui rapporti tra il padre Vito ed esponenti delle istituzioni con particolare riguardo al periodo dei reati contestati agli imputati (compreso dunque il fratello Massimo).

La moglie di Massimo CianciminoCarlotta Messerotti, dovrà  infine riferire quanto a sua conoscenza sui rapporti tra il marito Massimo e funzionari appartenenti ai servizi di sicurezza, nonché quanto sa della documentazione, riconducibile al suocero Vito, già  custodita dal marito.

COMMERCIALISTI E AVVOCATI

Ma oltre ai familiari, sfilerà  con molta probabilità  davanti ai pm una sfilza di avvocati e amici, a partire da quel Giovanni Lapis, storico tributarista di Ciancimino, arrestato per altre vicende il 16 maggio, che dovrà  riferire quanto a sua conoscenza sui rapporti tra Massimo Ciancimino e appartenenti alle Forze dell’ordine o ai servizi di sicurezza, nonché sulla circostanza relativa al possesso da parte del suo amico Massimo di documentazione relativa alla trattativa Stato-mafia.

Giovanna Livreri, cinquantatreenne avvocato di Palermo con un curriculum lungo così, con uno studio legale e di consulenza specializzato in normativa delle false comunicazioni societarie e dei reati contro la persona, nonché legale del gruppo GAS e di Lapis, dovrà  dire quanto sa sui rapporti di Massimo Ciancimino con esponenti delle istituzioni e del mondo politico nonché sul suo possesso di documentazione già  riferibile al padre Vito e concernente la cosiddetta trattativa.

L’ex avvocato di Massimo, Roberto Mangano, dovrà  dire quanto sa sui rapporti tra lo stesso Massimo ed esponenti delle forze dell’ordine e dei servizi di sicurezza nonché, in particolare, quanto sa sui motivi e le circostanze di un viaggio all’estero con Massimo Ciancimino prima dell’arresto di Bernardo Provenzano nell’aprile 2006.

L’avvocato Marco Simone Mariani dovrà  infine riferire sui suoi rapporti con Massimo Ciancimino e quanto a sua conoscenza sulla custodia di documenti riconducibili al padre Vito.

LA PERQUISIZIONE DEL 2005

Familiari e professionisti a parte, c’è una sfilza di uomini dello Stato che dovranno cercare di aiutare a fare chiarezza su quanto avvenne il 17 febbraio 2005, quando a casa di Massimo Ciancimino, all’Addaura di Palermo, località  tristemente nota per il fallito attentato a Giovanni Falcone il 21 giugno 1989, venne fatta una perquisizione Tra la documentazione sequestrata dai Carabinieri ci sarebbe stato anche il famoso e famigerato “papello” con le 12 presunte richieste da parte di Cosa nostra allo Stato per porre fini alle stragi (papello custodito con altre carte all’interno di una cassaforte che a quanto pare non fu neppure aperta anche se Massimo Ciancimino, che non era in casa, avrebbe comunicato ai domestici la volontà  di farla aprire).

Insomma: il cuore della trattativa in quei 12 punti.

Chiamato dai pm a riferire dell’esistenza della cassaforte nell’abitazione di Massimo Ciancimino è Giuseppe Mavaro, mentre il capitano Antonello Angeli dovrà  riferire di quella perquisizione, così come dovranno fare il marescialloGiovanbattista Migliore, il Brigadiere Cosimo Rossetti, l’appuntato Samuele Lecca in servizio presso il Reparto operativo del nucleo operativo dei Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo, il maresciallo Tommaso Lanzilao, in servizio presso il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza di Palermo e anche il custode della casa, Vittorio Angotti.

L’appuntato dei Carabinieri Samuele Lecca dovrà  anche riferire, nella circostanza della perquisizione, quanto chiestogli dal capitanoAngeli riguardo alla fotocopiatura immediata e riservata di parte della documentazione rinvenuta.

Il maresciallo dei Carabinieri Saverio Masi che, come abbiamo visto negli scorsi post dovrà  riferire anche quanto sa degli ostacoli incontrati nell’ambito della sua attività  investigativa finalizzata alla cattura di Bernardo Provenzano e che, come sappiamo, ha recentemente presentato un esposto alla Procura di Palermo su presunte e analoghe difficoltà  riscontrate per la cattura del bossMatteo Messina Denaro, dovrà  dire la sua anche sul ritrovamento e sul mancato sequestro del “papello”.

AUTENTICITA’ A 360 GRADI

Sull’autenticità  del “papello” e, in generale, sulle carte e sulle documentazioni prodotte, la Procura di Palermo vuole vederci chiaro fino in fondo e per questo motivo Piero Angeloni, il Sovrintendente Maria Vincenza Caria, l’assistente capo MarcoPagano, Lorenzo Rinaldo, Sara Falconi, Anna Maria Caputo, tutti già  in servizio presso la Polizia scientifica della Polizia di Stato di Roma, dovranno riferire degli accertamenti grafici e merceologici effettuati su tutto il materiale documentale offerto in produzione da Massimo Ciancimino o comunque a lui e al padreVito certamente riconducibile.

Il concetto di “autenticità ”, possiamo dire, la Procura di Palermo l’ha esteso anche attraverso la chiamata di testimoni che si dovranno peritare su altri ma non meno importanti fronti.

Sergio Ferranti, funzionario della Telecom Italia dovrà  riferire degli accertamenti effettuati in ordine ad alcuni numeri di telefono, noti all’Ufficio in quanto forniti da Massimo Ciancimino.

Roberto Ferretti, funzionario della Telecom, Sebastiano Caracò, Vincenzo Diana dovranno dire quanto sanno delle ragioni dell’assenza nell’archivio di Telecom Italia Mobile di dati relativi ad utenze telefoniche indicate da Massimo Ciancimino come già  nella disponibilità  di appartenenti ai Servizi di sicurezza.

Il colonnello Giuseppe D’Agata, Nicola Franco, il CommissarioRosario Brocato, i sostituti Commissari Salvatore Bonferraro eGiuseppe Tavolacci, il Luogotenente Rosario Merenda, il Maresciallo Bonadonna, il Colonnello Rodolfo Passaro, Sergio Loi, il Luogotenente Fabrizio Tomassetti, il Maresciallo aiutanteCorrado Grassi e Elio Antinoro, tutti già  in servizio presso il Centro operativo Dia di Palermo, dovrebbero sfilare per riferire delle attività  di indagine effettuate nella complessa attività  investigativa, espletata in relazione ai fatti per cui c’è il processo, con particolare riferimento agli accertamenti svolti a riscontro di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia e testimoni tra i qualiGaspare Spatuzza e lo stesso Massimo Ciancimino.

In conclusione torno al punto di partenza: molti lo hanno dimenticato e allora con questo articolo a tanti altri apparirà  più chiara la “centralità ” nel processo sulla trattativa Stato-mafia dell’imputato Massimo Ciancimino e del mondo che, secondo la pubblica accusa, gli ruota o gli è ruotato intorno in questi anni.

r.galullo@ilsole24ore.com

tratto da : http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2013/05/processo-stato-mafia-la-centralit%C3%A0-di-massimo-ciancimino-e-la-lista-dei-testimoni-diventa-una-questione-di-famiglia-e-amici.html

Milano, 29 maggio 2013 –  di Roberto Galullo  -

Trattativa Stato-mafia: perché la pubblica accusa di Palermo vuole processare l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino

Nella confusione i media, spesso, sguazzano, non rendendosi conto che a perdere è la democrazia perché la libertà  di stampa, di informazione e di opinione viaggiano a braccetto. O vivono insieme o muoiono insieme.

In questi giorni abbiamo assistito all’apertura a Palaermo del processo sulla trattativa tra Stato e mafia (rimando, da ultimo, ai post del 23 maggio e di ieri). Ebbene il processo, aperto con gran clamore ma che in verità  è ancora ben lungi dall’entrare nel vivo preso com è tra schermaglie e primi vagiti, ha visto l’irruzione sulla scena dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino.

L’ex politico di lungo e integerrimo corso democristiano, che ha ricoperto anche il ruolo di Presidente del Senato, ha schiumato la sua rabbia arrivando nell’aula bunker di Palermo. Ecco come: “Ho fiducia e speranza che venga fatta giustizia, ed io esca dal processo. Io ho combattuto i criminali. Ho combattuto la mafia. Non posso stare insieme alla mafia in un processo“. Quindi Mancino ha ricordato che oggi chiederà  lo stralcio della sua posizione. “Che uno per falsa testimonianza debba stare in Corte d’assise - ha detto – mi sembra un po’ troppo“.

Il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo, non si è lasciato sfuggire la possibilità  di replicare sulla posizione dell’ex ministro, che “era già  stata espressa in sede di udienza preliminare e sulla quale credo che ci sia stata già  una pronuncia sia pure provvisoria. Ritengo che la difesa del senatore Mancino saprà  svolgere egregiamente il suo compito proponendo quei temi che ritiene adeguati nell’interesse dell’assistito . Rifuggo sempre da questo tipo di valutazioni generiche e moralistiche, qui stiamo celebrando un processo e non dobbiamo distribuire pagelle o encomi e neanche forme di rivalsa nei confronti del passato. Cerchiamo di chiarire i fatti, di accertarli e di trarne le conclusioni giuridiche“.

Intanto oggi “ tanto per non complicare il quadro “ dovrebbe, sciopero degli avvocati permettendo, aprirsi il rito abbreviato nei confronti dell’ex ministro Calogero Mannino, imputato di attentato mediante violenza o minaccia a un corpo politico,

amministrativo o giudiziario nell’ambito del procedimento per la trattativa Stato-mafia. àˆ stato lo stesso Mannino a chiedere il rito alternativo, senza andare a dibattimento come gli altri dieci imputati per i quali si é aperto lunedì scorso il processo in Corte d’Assise.

LE ACCUSE

A mio sommesso avviso, per fare un po di chiarezza, è bene ricordare perché Mancino è accusato di falsa testimonianza. Per avere, deponendo come testimone innanzi al Tribunale di Palermo nel processo in corso nei confronti di Mario Mori e Mauro Obinu, di cui venerdì scorso il pm Nino Di Matteo ha concluso la requisitoria, chiedendo pene rispettivamente per 9 anni e 6 anni e sei mesi nei confronti dei due alti ufficiali dei Carabinieri, anche al fine di assicurare ad altri esponenti delle istituzioni la impunità , affermato il falso e comunque taciuto in tutto o in parte ciò che sapeva intorno ai fatti sui quali veniva interrogato.

In particolare, secondo la pubblica accusa, sostenuta oltre che da Di Matteo anche da Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, affermando falsamente di non essere mai venuto a conoscenza:

a) dei contatti intrapresi, in epoca immediatamente successiva alla strage di Capaci, da esponenti delle Istituzioni, tra i quali gli Ufficiali dei Carabinieri Mario Mori e Giuseppe De Donno, con Vito Ciancimino e per il suo tramite con gli esponenti di vertice di Cosa Nostra;

b) delle lagnanze dell’allora Ministro della Giustizia Claudio Martellisull’operato dei due ufficiali dei Carabinieri;

c) delle motivazioni che provocarono, nell’ambito della formazione del Governo insediatosi nel giugno ˜92, l’avvicendamento dell’onorevoleVincenzo Scotti nel ruolo di ministro dell’Interno.

Fin qui le accuse che, a voi lettori, nude e crude serviranno non solo per formarvi un’opinione ma anche per capire che è vitale approfondire il ruolo di Mancino. In questo processo “ come parrebbe naturale “ o in uno strlacio dello stesso, senza che ovviamente, a mio avviso, si possa confondere nella prima delle due ipotesi la figura di Mancino con quelle dei mafiosi con lui sotto processo. La storia personale è un conto, la storia giudiziaria un altro.

I TESTIMONI

Per fare chiarezza la Procura ha convocato una serie di testimoni.

Una prima serie “ Giuseppe Gargani, Claudio Martelli, Giuliano Amato, Ciriaco De Mita e Arnaldo Forlani - dovranno riferire quanto sanno proprio sui motivi dell’avvicendamento nella carica di Ministro dell’Interno tra Scotti e Mancino.

C’è poi chi “ tra questi i politici Luciano Violante, Claudio Martelli, Piero Grasso, il Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione Gianfranco Ciani (che tra l’altro ha aperto un procedimento disciplinare davanti al Csm nei confronti di Di Matteoper essere venuto meno agli obblighi di riservatezza), il suo predecessore Vitaliano Esposito, il Segretario generale della Presidenza della Repubblica Donato Marra, Procuratore generale Aggiunto presso la Corte di cassazione Pasquale Ciccolo “ dovranno riferire, a vario titolo, quanto sanno delle interlocuzioni dirette e indirette con il ministro Mancino e con altri esponenti della compagine governativa sul tema del 41 bis dell’ordinamento penitenziario nel corso del 1993, nonché sulla ritenuta connessione tra detta questione e le stragi di Roma, Firenze e Milano (Violante), sulle richieste provenienti da Mancino sul l’andamento delle indagini sulla cosiddetta trattativa,  l’eventuale  avocazione delle stesse e/o il coordinamento investigativo delle Procure interessate (Grasso, Ciani, Esposito, Marra e Ciccolo).

Paolo Falco, già  in servizio presso la segreteria generale del  Dipartimento dellìamministrazione penitenziaria, dovrà  riferire su quanto a sua conoscenza circa la sussistenza di costanti interlocuzioni tra l’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso e Mancino sulla problematica del 41 bis dell’ordinamento penitenziaria mentre Nicolò Amato, già  a capo dello stesso Dipartimento, dovrà  riferire quanto sa su quanto appreso e rappresentato nella nota al Gabinetto del ministro del 6 marzo 1993 in merito a perplessità  e contrarietà  espresse dal Capo della Polizia e da ambienti del Ministero dell’Interno sul regime carcerario duro (41 bis) e sulle interlocuzioni dirette con il ministro dell’Interno Mancino a proposito della revoca del regime di carcere duro per i detenuti del carcere di Secondigliano.

Insomma, comunque la si giri e la si volti, il ruolo dell’imputatoMancino è ritenuto fondamentale dalla pubblica accusa. Che lo si giudichi in uno stralcio o nella sede principale, l’importante è giungere all’accertamento di una (prima) verità  giudiziaria.

r.galullo@ilsole24ore.com

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2013/05/trattativa-stato-mafia-perch%C3%A9-la-pubblica-accusa-di-palermo-vuole-processare-lex-presidente-del-senato-nicola-mancino-1.html

Milano, 28 maggio 2013 –  di Roberto Galullo  -

Trattativa Stato-mafia no stop: Di Matteo, Masi, Fiducia, le strane latitanze di Provenzano e Messina Denaro e Lucky Luciano

Il pm della Procura di Palermo, Nino Di Matteo, è alle prese con uno slalom speciale. Venerdì scorso ha impegnato sei ore di requisitoria nel cosiddetto “processo Mori” durante il quale ha chiesto 9 anni di reclusione per l’ex generale dei Carabinieri e 6 anni e 6 mesi per il colonnello dei Carabinieri Mario Obinu, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Ieri, con una spasmodica attesa vanificata da preliminari e schermaglie che hanno rimandato tutto a questo venerdì, con i colleghi Vittorio TeresiFrancesco Del Bene e Roberto Tartaglia, ha cominciato a sostenere formalmente la pubblica accusa contro i 10 soggetti (mafiosi e uomini dello Stato) chiamati a rispondere di essere stati parte attiva della trattativa Stato-mafia.

Il cuore del processo sarà  capire chi ha portato avanti quella trattativa per inconfessabili “ragion di Stato”. E Mario Mori, anche qui, è imputato.

Al netto di questo, molto girerà  ancora intorno a Bernardo Provenzano, il boss di Cosa nostra che molti dei segreti di quella trattativa conosce anche perché ne era, secondo la Procura di Palermo, uno dei capisaldi.

Come potete facilmente arguire, di conseguenza. molti dei testimoni chiamati da Di Matteo e dai suoi colleghi dovrebbero fornire un contributo di conoscenza e (auspicabilmente) di chiarezza sui lati oscuri della lunga latitanza di Provenzano e sulle eventuali coperture accordategli visto che primula rossa era e primula rossa a lungo è restata per una vita.

Molto, moltissimo, di quello che ruota intorno alla latitanza diProvenzano è ancora avvolto nella nebbia più fitta, nonostante la storia ufficiale racconti altro.

Voglio per questo ricordarvi una cosa recentissima e una storia poco più lontana.

La cosa recentissima è l’intervista, andata in onda su Servizio Pubblico della 7 giovedì 23 maggio, nella quale un anonimo Carabiniere dell’ex Comando provinciale di Palermo (non dunque dei Ros), ripreso di spalle, spiattella la sua verità  sulla mancata cattura di Provenzano, localizzato, pedinato e seguito per mesi e mesi ma arrestato solo molto tempo dopo.

TRATTATIVA NO STOP

La storia un po più lontana l’hanno raccontata questo umile blog (con i pezzi che troverete in archivio del 24, 25 e 26 aprile, 3 e 4 maggio 2012), l’Unità , Rainews24 e una lunga puntata dello stesso Servizio pubblico” della 7.

La storia è quella della Procura di Palermo che sulle ipotesi della trattativa per la cattura proprio di zu Binnu u tratturi ha aperto a maggio 2012 un fascicolo e l’ha chiuso poco dopo (si veda il mio post del 5 ottobre 2012).

Trattativa, dopo trattativa, dopo trattativa¦Una storia infinita ma la presunta trattativa per la cattura di Provenzano, letta anche alla luce della trattativa Stato-mafia, non apparirebbe un’ipotesi balorda. Anzi.

Non è un caso che, a primavera dello scorso anno, alcuni membri della Commissione parlamentare antimafia, tra cui Angela Napoli, cercarono di far discutere questo punto dalla conferenza dei capigruppo ma¦niente da fare! E poi dicono che la Commissione parlamentare antimafia è utile!

Ricordiamo anche che il 14 dicembre 2011 “ in audizione al Csm “ l’ex capo della Dna e attuale presidente del Senato Piero Grassodisse chiaro e tondo che l’uomo che si presentò nel 2003 in Dna per intavolare una discussione sulla eventuale cattura diProvenzano era un truffatore. “Quindi a me sembrava più un truffatore che altro. Infatti feci questo colloquio investigativo “ sono le testuali parole di Grasso – ma poi nel tempo scoprii che altri due in precedenza erano stati fatti da Vigna e dai sostitutiCisterna e Macrì”. Non proprio su questa linea era Piero Luigi Vigna che prima di Grasso condusse la Dna ed ebbe modo di entrare in contatto prima di lui con il mediatore. Quindi capitolo chiuso.

Anzi no. Perché Alberto Cisterna e Enzo Macrì, appunto, in vario modo dissero che di truffatore proprio non si poteva parlare.Cisterna si è limitato, per ora, in due occasioni “ una di fronte all’ex capo della Procura di Reggio Calabria, Pignatone Giuseppee l’altra con il capo della Procura generale di Reggio Calabria,Salvatore Di Landro “ a dire che sarebbe venuto il momento di parlare sul serio della cattura di Provenzano. Sul serio.

L’altro “ Macrì “ ha pestato duro sul fatto che quel ragioniere commercialista non era assolutamente un truffatore.

Ignazio De Francisci, procuratore aggiunto della Procura e dal 1° ottobre 2012 in Procura generale sempre a Palermo, aprì a maggio dello scorso anno “ proprio sulla base delle notizie giornalistiche “ un fascicolo modello 45, vale a dire (tecnicamente) l’iscrizione effettuata nel registro degli atti non costituenti reato. Quindi “ ab origine “ nessun reato è stato intravisto nelle condotte descritte dalle indagini giornalistiche.

La Procura di Palermo ha fatto il suo mestiere e De Francisci ha convocato a sé, tra maggio e ottobre 2012 alcuni protagonisti di quella vicenda, tra i quali CisternaMacrì e un mediatore “ ma forse due – presentatosi a nome di Provenzano.

SAVERIO MASI

E torniamo al processo che si è aperto ufficialmente ieri a Palermo sulla trattativa Stato-mafia, molto enfatizzato anche se, come fa giustamente rilevare lo stesso Di Matteo, a fare storia è quello appena chiuso con la sua requisitoria su Mori e Obinu.

Vi invito a porre l’attenzione sul nome del maresciallo dei Carabinieri Saverio Masi, che è stato chiamato a riferire in ordine «agli ostacoli incontrati nell’ambito della sua attività  investigativa finalizzata alla cattura di Bernardo Provenzano nonché a quanto a sua conoscenza sul ritrovamento, e sul mancato sequestro, del cosiddetto “papello” nel corso di una perquisizione domiciliare nei confronti di Massimo Ciancimino nel febbraio del 2005».

Il maresciallo Masi, che attualmente è caposcorta di Nino Di Matteo, è lo stesso che il 3 maggio ha presentato un lungo esposto alla Procura di Palermo, denunciando, questa volta, le pressioni ricevute dai superiori per non catturare il boss Matteo Messina Denaro, dal quale era giunto ad un soffio.

Secondo la ricostruzione di Report riportata anche sul Corriere della SeraMasi avrebbe presentato una denuncia in cui racconta alla procura alcuni passaggi inquietanti relativi alla indagini sui due boss.

Per quanto riguarda ProvenzanoMasi parlerebbe di pedinamenti interrotti, piste importanti per la sua cattura lasciate cadere, strane amnesie dei Ros, reperti fondamentali trascurati. L’intenzione di non catturare Provenzano, inoltre, sarebbe stata espressa direttamente a Masi da un suo superiore, in un duro rimprovero: «Noi non abbiamo nessuna intenzione di prendere Provenzano! – avrebbe detto secondo la ricostruzione fatta dal team di Milena Gabbanelli riportata sul Corriere della Sera – Non hai capito niente allora? Lo vuoi capire o no che ti devi fermare? Hai finito di fare il finto coglione? Dicci cosa vuoi che te lo diamo. Ti serve il posto di lavoro per tua sorella? Te lo diamo in tempi rapidi!».

Dopo aver raccontato queste cose su ProvenzanoMasi avrebbe aperto un capitolo sugli stop “ lunghi almeno un decina di anni “ che avrebbe ricevuto (lui come altri investigatori) nella cattura del latitante Matteo Messina Denaro.
Masi racconterebbe di atti dovuti ma non compiuti da chi avrebbe dovuto svolgerli al suo posto (perché lui era stato obbligato a ferie forzate), litigi con i superiori, nomi cancellati da relazioni di servizio e via di questo passo.

SALVATORE FIDUCIA

Dopo Masi arriva, a sorpresa, il luogotenente Salvatore Fiducia, che deposita anch’esso in Procura, secondo la ricostruzione che ne fa l’Ansa il 14 maggio, dopo aver incontrato i legali di Masi, un esposto circostanziato agli episodi avvenuti tra il 2001 e il 2004 quando, a un passo dalla cattura di Provenzano, avrebbe ricevuto inspiegabili ordini di non proseguire le indagini. Ordini che il luogotenente si sarebbe sentito ripetere nel 2011, quando era impegnato nella ricerca del covo del boss trapanese Messina Denaro, tuttora latitante.

L’avvocato Giorgio Carta, uno dei due legali con Francesco Desideri, ha spiegato in conferenza stampa come «prima Masipoi Fiducia, nelle loro indagini, individuano dei casolari dove sarebbero presenti i latitanti, ma anziché essere incoraggiati e dotati di strumenti tecnici, uomini e mezzi, viene ordinato loro di interrompere tutto, o di coordinarsi con il Ros» rischiando di non avere più la gestione delle indagini e perdendole di vista.
E “ badate bene “ secondo quanto riferito dagli stessi avvocati in quella conferenza stampa, ci sarebbe un terzo Carabiniere pronto a parlare con i magistrati e un quarto che potrebbe farlo.

LUCKY LUCIANO

Ora “ mi perdonerete ma capirete in realtà  il senso profondo “ concludo questo servizio ricorrendo alle parole di un grande regista come Francesco Rosi, che la scorsa settimana ha ripresentato a Cannes il restauro del suo Lucky Luciano, film del 1973 che ripercorre la vita del gangster italo-americano scarcerato negli Usa malgrado una condanna a vita nel 1946 e tornato in Sicilia a svolgere i suoi traffici illeciti, come premio per i servizi resi agli alleati durante la Seconda guerra mondiale.

«La madre di tutte le trattative Stato-mafia», afferma Rosi nella cronaca di Claudia Morgoglione di Repubblica.

Non sembri cinema. E’ realtà . Realtà  drammatica. E verità  inconfessabile. Lo Stato e le mafie da sempre sono in trattativa e continueranno ad esserlo per un semplice motivo: quel patto potrà  essere rotto unilateralmente solo dallo Stato che non avrà  mai la forza di farlo perché le mafie “ a differenza del terrorismo “ non sono “contro” ma “dentro”. Fanno cioè ormai parte del tessuto connettivo dello Stato stesso, con il quale sono nate. Ne sono al tempo stesso batterio infettivo e medicina inefficace a combatterlo. Anzi: quel batterio si è evoluto ed è diventato cancro da metastasi che non può essere combattuto con le chiacchiere della politica indegna che rappresenta il popolo italiano.

Per questo – come diceva Leonardo Sciascia “ la linea della palma della mafia si sta alzando da decenni ben oltre la Sicilia, su per la Calabria (oggi vero centro del nuovo potere inconfessabile tra Stato e mafie) e via via ancora su per li rami ben oltre l’Italia. Una metastasi che non conosce confini, destinata a mangiare sempre più il tessuto sociale ed economico degli Stati.

So che sarò tacciato di disfattismo e pessimismo ma è ciò in cui credo realisticamente: non illudiamoci, la mafia può essere sconfitta, i sistemi criminali no. Per questo Nino Di Matteo, Vittorio TeresiFrancesco Del Bene e Roberto Tartaglia in Sicilia vinceranno magari la battaglia giudiziaria contro lo Stato che tratta con Cosa nostra ma l’Italia non è in grado di sconfiggere i sistemi criminali che di continue trattative si alimentano.

E’ scritto nella storia. Solo che non ce ne rendiamo conto, distratti scientemente come siamo, da bunga bunga, tetti e culi o muscoli e bicipiti da sognare a occhi aperti. Tanto quelli chiusi sono di Falcone e Borsellino. E per loro basta una corona e una lacrima di coccodrillo una volta all’anno.

r.galullo@ilsole24ore.com

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2013/05/trattativa-stato-mafia-no-stop-di-matteo-masi-fiducia-le-strane-latitanze-di-provenzano-e-messina-denaro-e-lucky-luciano.html

 

Milano, 23 maggio 2013

Provenzano entra nella trattativa Stato-mafia, entra ed esce dal carcere di Parma mentre il pm Di Matteo vive in regime di 41bis “sociale”

Oggi “ come tutta la politica parolaia si affretterà  a ricordare versando lacrime di coccodrillo “ ricorre ilo 21esimo anniversario della strage di Capaci.

Mi piace ricordare il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta saltati per aria quel giorno, attraverso il lavoro.

No, non dico il mio, ma quello di un magistrato valente e isolato come Nino Di Matteo, che anche oggi sarà  regolarmente nel suo ufficio in Procura a Palermo per lavorare all’udienza preliminare del 27 maggio relativa al processo sulla trattativa Stato-mafia (rimando anche ai miei servizi su questo blog dei giorni 4, 9 e 19 aprile e 9 maggio).

Di Matteo, come tutti i giorni, arriverà  anche oggi nel suo ufficio scortato e blindato come poche volte si è visto. La sua vita “ vale sempre la pena ricordarlo “ è ad altissimo rischio ma questo sembra interessare meno, ma molto meno delle polemiche sui testimoni ammessi o esclusi in quel processo. Questioni di stili, questioni di dignità  diverse, questioni di vita o di morte.

In vista del giorno dell’udienza preliminare del 27 maggio dedicherò una serie di articoli su questo blog perché testimoniare solidarietà  con le chiacchiere è facilissimo, con i fatti è molto più difficile. L’unico “fatto” che posso offrire io, come giornalista, è la mia penna, anzi la mia tastiera, con la quale battere notizie e riflessioni che spero possano aiutare tutti a essere consapevoli che “ ben oltre Cosa nostra e le mafie in generale “ c’è un sistema criminale contro il quale pochi pm si battono. Tra questi, a Palermo, Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, cioè coloro i quali quel 27 sosteranno la pubblica accusa contro i 10 soggetti (mafiosi e uomini dello Stato) chiamati a rispondere di essere stati parte attiva di quella trattativa.

PROVENZANO ENTRA ED ESCE DAL CARCERE

Secondo la pubblica accusa, il principale referente per portare in porto la trattativa era il capo mafia Bernardo Provenzano.

Ora, mentre Di Matteo vive in un regime blindato, paragonabile ad un 41 bis (carcere duro) “sociale”, vista la sua attuale condizione di vita, zu Binnu ˜u tratturi entra ed esce dal carcere di Parma per i suoi problemi di salute sui quali non entro per il rispetto che si deve a tutti anche se “ come dimostrerà  il video che questa sera sarà  mandato in onda da Servizio Pubblico sulla 7 –  riceve e parla. Parla e riceve. Sapendo “ sia chiaro “ di essere perfettamente ripreso dalla telecamere e di essere sempre ascoltato. In quel video che vedrete stasera Provenzano accusa di essere stato picchiato dietro le reni, suppongo nel carcere di Parma. Vero? Falso? Non sta a me deciderlo ma faccio un ragionamento lineare e difficilmente smentibile con argomentazioni uguali e contrarie: lui vive in isolamento (anche se la sua legale ha chiesto la revoca) e dunque compari di cella o di Istituto li escludiamo ma anche ammesso e non concesso che così sia, delle due l’una: o hanno avuto ordine di farlo da chi è in grado di intimorire Provenzano (ma chi?) o lo hanno fatto con istinto suicida prossimo alla realizzazione perché franca non la farebbero.

Stesso identico discorso sarebbe “ mutatis mutandis “ se a picchiarlo fossero stati agenti di polizia penitenziaria. Sarebbero destinati a emigrare al Polo Nord e forse neppure lì se la caverebbero. Idem con patate per il direttore dell’Istituto e il responsabile della sicurezza. Questo, ripeto, al netto del fatto che le “legnate sui reni“, come le ha definite Provenzano parlando con il figlio, non fossero un messaggio chiaro per evitargli una collaborazione con la Giustizia di cui da anni si favoleggia.

Ergo: ho dubbi ma tanti, tanti dubbi che picchiare Provenzano in carcere (o nelle tante trasferte) sia facile ed esente dal rischio mortale di una vendetta dell’ala di riferimento di Cosa nostra, anche se è vero che la sua posizione nella gerarchia non è più paragonabile al passato.

Ma visto che parliamo di trasferte ecco a voi l’elenco delle uscite dal carcere di Parma del capo mafia (tutte per motivi di salute e dunque assolutamente legittime).

Mi limito da ottobre 2012 a oggi: il 17 ottobre Provenzano è stato ricoverato, il 19 è rientrato in cella e così il 26 ottobre e il 9 novembre (ricovero con esami), il 3 e il 17 dicembre. In quest’ultimo giorno fu ricoverato e poi fu rispedito in carcere il 5 marzo di quest’anno. Di nuovo ricoverato il 26 aprile, il giorno dopo è rientrato a Parma. Il 3 maggio è riuscito (sempre per recarsi in strutture ospedaliere) e il 5 è rientrato in Istituto.

LA LISTA NEL “NOME” DI PROVENZANO

Ora mentre tutto questo accade, accade anche che Di Matteo e i suoi colleghi in Procura abbiano depositato una lista di 176 testimoni che dovrebbero aiutare a capire i contorni della trattativa tra Stato e mafia.

Il nome di Provenzano “ come scritto “ è in cima ai pensieri della Procura, che vogliono vederci chiaro anche sulla sua latitanza. E il ruolo di Provenzano non lo vogliono sapere solo, ad esempio, daAntonino GiuffrèMassimo Ciancimino, figlio di don Vito, ma anche da personaggi come Antonio Subranni, Mario Mori eGiuseppe De Donno, fino a parola (o prova) contraria, servitori dello Stato.

Giuffrè dai pm è stato chiamato anche per riferire «delle iniziative di Provenzano per la risoluzione dei principali problemi che affliggevano Cosa Nostra nel periodo immediatamente successivo alle stragi del 1992, anche con più specifico riferimento ai rapporti consolidatisi attraverso Marcello Dell’Utri, con Silvio Berlusconi e il neo costituito movimento denominato Forza Italia» ma anche sulle «affermazioni ed ai sospetti da parte di appartenenti all’organizzazione Cosa Nostra circa asseriti rapporti tra il Provenzano ed alcuni esponenti dell’Arma dei Carabinieri».

Stefano Lo verso sarà  invece chiesto di riferire «quanto direttamente appreso da Bernardo Provenzano in merito alle protezioni che il predetto vantava di avere ad opera di alti ufficiali dell’Arma dei Carabinieri ed esponenti politici tra i quali l’odierno imputato Marcello Dell’Utri».

Giuseppe Lipari i pm vorrebbero chiedere delle «notizie acquisite da Bernardo Provenzano, Vito Ciancimino e Antonino Cinà  sull’esistenza di documenti scritti indirizzati da Salvatore Riina, tramite Cinà  e Vito Ciancimino ad ufficiali del Ros, ancor più in particolare, materialmente esibiti al Capitano De Donno».

SERVITORI DELLO STATO

Ma dovrebbero scendere in campo anche uomini dello Stato, come il colonnello dei Carabinieri Michele Riccio, che secondo la Procura di Palermo dovrebbe riferire «della genesi ed delle circostanze che lo portarono ad intrattenere rapporti con il confidente Luigi Ilardo, all’epoca esponente di spicco delle famiglie mafiose del nisseno; delle modalità  di conduzione del predetto rapporto con l’Ilardo con particolare riferimento alle informazioni acquisite in merito alle strategie generali dell’organizzazione, alle stragi 1992/1993, ai rapporti con esponenti della politica e delle istituzioni e soprattutto con l’allora latitante Bernardo Provenzano; dell’eventuale documentazione del suo rapporto con il confidente; dell’esibizione ed acquisizione di numerose missive attribuite a Provenzano; degli esiti del rapporto confidenziale con l’Ilardo con particolare riferimento al rintraccio e alla cattura di numerosi latitanti; delle informazioni rese ai suoi colleghi (della Dia e successivamente del Ros dei Carabinieri) nonché all’Autorità  giudiziaria circa l’evoluzione del suo rapporto con l’Ilardo ed i contenuti delle principali informazioni dallo stesso ricevute; delle  specifiche conoscenze dell’incontro tra Ilardo e Bernardo Provenzano in territorio di Mezzoiuso nell’ottobre 1995; delle scelte investigative successive alle acquisizioni del 31 ottobre 1995 con particolare riferimento alla eventuale organizzazione di attività  finalizzate alla cattura diProvenzano; delle comunicazioni all’Autorità  giudiziaria relative agli accadimenti del 31 ottobre 1995 ed alle ulteriori attività  successive a quella data finalizzate al rintraccio del Provenzano; della scelta dell’Ilardo di intraprendere una formale collaborazione con l’Autorità  giudiziaria e degli incontri con i magistrati finalizzati a ciò; dei suoi rapporti con gli odierni imputati ed in particolare con il Generale Subranni; di  quanto appreso, anche attraverso colloqui con altri ufficiali dei carabinieri in servizio al Ros, sul movente dell’omicidio del maresciallo Guazzelli e sulle ritenute connessioni di tale delitto con la figura dell’allora Ministro Mannino; delle motivazioni che lo hanno indotto nel 2001, indirizzando una missiva alla Procura della Repubblica di Palermo, a chiedere di essere sentito dall’Autorità  giudiziaria».

L’Ispettore Francesco Arena, già  in servizio presso il Centro operativo Dia di Catania e il suo ex collega in Dia Mario Ravidà , sono stati chiamati a riferire «sui suoi rapporti con il ColonnelloRiccio in occasione dello sviluppo delle indagini Grande Oriente e su quanto appreso dallo stesso Riccio con riferimento all’incontro tra Ilardo e Provenzano in territorio di Mezzojuso ed  ai motivi del mancato intervento dei Carabinieri in quella occasione».

Il generale dei Carabinieri Nicolò Bozzo è stato chiamato a riferire «sui suoi rapporti con Michele Riccio, sulle pregresse comuni esperienze ed attività  professionali; quanto riferitogli dal Colonnello Riccio durante lo svolgimento dell’indagine Grande Oriente con particolare riferimento alle lamentele del Riccio per l’assenza di precise direttive ed adeguata copertura ed assistenza nell’indagine che doveva portare alla cattura delProvenzano».

Il Tenente colonnello Massimo Giraudo è chiamato a dire ciò che sa, tra le altre cose, «sulle doglianze espresse dal capitano De Caprio aventi ad oggetto gli ostacoli frapposti dal colonnello Moriall’efficace svolgimento dell’attività  di indagine finalizzata alla cattura di Bernardo Provenzano»

ANCHE I MAGISTRATI

Anche i magistrati sono stati chiamati a raccontare ciò che sanno e che ruota intorno a quel maledetto nome di Binnu ˜u tratturi.

Nicolò Marino, sostituto procuratore presso la Dda di Caltanissetta per riferire «dei i suoi rapporti con il Colonnello Michele Riccio e di quanto dal predetto appreso in ordine ad un incontro in territorio di Mezzojuso tra Ilardo Luigi e Provenzano Bernardoed ai motivi del mancato intervento dei Carabinieri; dei colloqui intrattenuti con il Colonnello Riccio poche ore prima che lo stesso venisse tratto in arresto e con la moglie dell’Ufficiale nei giorni immediatamente successivi».

Giancarlo Caselli, già  procuratore della Repubblica di Palermo, dovrà  riferire, tra le altre cose, della «alla gestione dell’indagine scaturente dalle notizie confidenziali rese da Ilardo Luigi al Colonnello Riccio; della designazione dei magistrati titolari del relativo procedimento; delle informazioni avute dalla polizia giudiziaria operante sugli sviluppi delle investigazioni con particolare riferimento a quelli utili per la cattura di Provenzano; dell’incontro di Ilardo Luigi con alcuni magistrati delle Procure di Palermo e Caltanissetta di pochi giorni antecedente l’eliminazione del predetto Ilardo».

Giuseppe Pignatone, già  sostituto in servizio presso la Dda di Palermo dovrebbe riferire sulla «conduzione delle indagini scaturenti dal rapporto confidenziale tra Ilardo Luigi e il Colonnello Michele Riccio; sulle informazioni resegli dal predetto Ufficiale in merito alle acquisizioni investigative con particolare riguardo a quelle concernenti la possibile cattura del latitanteBernardo Provenzano; sulla vicenda della riunione di Mezzojuso tra Ilardo e Provenzano e agli eventuali sviluppi investigativi successivi a tale riunione».

Alfonso Sabella, già  sostituto procuratore in servizio presso la Dda di Palermo, dovrebbe riferire quanto a sua conoscenza «sulla conduzione, da parte del Ros dei Carabinieri, dell’attività  di indagine finalizzata alla cattura di Provenzano e più in generale sulla fazione di cosa nostra più direttamente riconducibile al predetto Provenzano».

r.galullo@ilsole24ore.com

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2013/05/provenzano-entra-nella-trattativa-stato-mafia-entra-ed-esce-dal-carcere-di-parma-mentre-il-pm-di-matteo-vive-in-regime-di-41.html